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Diabete di tipo 1, una nuova possibilità di trattamento con l'antiipertensivo verapamil

Pubblicata il 23 lug 2018

Diabete di tipo 1, una nuova possibilità di trattamento con l'antiipertensivo verapamil

In pazienti con diabete di tipo 1 di recente insorgenza la somministrazione orale regolare di verapamil, un comune farmaco antiipertensivo approvato per la prima volta nel 1981, ha permesso ai pazienti di produrre livelli più alti di insulina, limitando la necessità di insulina per bilanciare la glicemia.

Sono i risultati di un piccolo studio condotto dai ricercatori dell'Università dell’Alabama, presso il Comprehensive Diabetes Center di Birmingham, appena pubblicato sulla rivista Nature Medicine.

Verapamil si è sorprendentemente rivelato una terapia sicura, efficace e promettente per ridurre il fabbisogno insulinico e gli episodi ipoglicemici in questi pazienti, promuovendo la funzione delle cellule beta e la produzione di insulina, una scoperta rivoluzionaria nel campo della ricerca sul diabete.

Il diabete di tipo 1 è causato dall’attacco, da parte del sistema immunitario, alle cellule beta del pancreas che producono insulina per regolare e mantenere livelli ottimali di zucchero nel sangue. Quando le cellule beta vengono distrutte, la capacità dell’individuo di produrre insulina diminuisce, facendo aumentare la glicemia e creando una sempre maggiore dipendenza dall'insulina esterna.

«I dati raccolti dalla nostra sperimentazione ci fanno ritenere che le persone con diabete di tipo 1 potrebbero avere un potenziale nuovo approccio terapeutico, che ridurrebbe il loro fabbisogno esterno di insulina e migliorerebbe il controllo della glicemia e la qualità della vita, grazie agli effetti che verapamil ha nel promuovere la funzione delle cellule beta pancreatiche», ha detto Anath Shalev, direttrice del Comprehensive Diabetes Center e autrice principale dello studio. «Sebbene questa ricerca non rappresenti una cura definitiva per il diabete di tipo 1, queste scoperte ci stanno avvicinando a terapie in grado di modificare la malattia e consentire ai malati di preservare una parte della loro produzione endogena di insulina».

Nel 2014, il laboratorio di ricerca della Shalev ha scoperto che verapamil aveva completamente invertito il diabete di tipo 1 in modelli animali, e ha quindi cercato di testarne gli effetti su soggetti umani in uno studio clinico, finanziato con una sovvenzione di $ 2,1 milioni dalla JDRF, una fondazione no-profit per la ricerca sul diabete. Il farmaco è utilizzato per la terapia dell’ipertensione da oltre tre decenni, ma è la prima volta che ne vengono testate efficacia e sicurezza nel trattamento del diabete di tipo 1.

Lo studio con verapamil

Il trial clinico, in doppio cieco, controllato con placebo, ha monitorato 24 pazienti di età compresa tra 18 e 45 anni nel corso di un anno. Verapamil è stato avviato a una dose di 120 mg/giorno e, se tollerato, è stato titolato fino a un massimo di 360 mg/giorno. L'endpoint primario, la funzione beta-cellulare endogena, è stata valutata misurando l'area sotto la curva (AUC) del C-peptide stimolato in risposta a un test di tolleranza con pasto misto, al basale e dopo 3 e 12 mesi.

A tutti i partecipanti è stato diagnosticato il diabete di tipo 1 entro tre mesi dall'inizio della sperimentazione e tutti hanno mantenuto la terapia prescritta con pompa insulinica per tutta la durata dello studio. I ricercatori hanno monitorato la dose giornaliera totale di insulina nei due gruppi, la quantità di insulina prodotta, la variazione percentuale della produzione di insulina e i livelli di HbA1c. E’ stato inoltre registrato il numero di eventi ipoglicemici osservati dai pazienti e, tramite un sistema di monitoraggio continuo del glucosio, è stata analizzate la percentuale di tempo in cui il glucosio era nel range corretto.

Dopo la correzione per eventuali differenze preesistenti al basale, il C-peptide stimolato era significativamente maggiore nel gruppo verapamil rispetto al gruppo placebo, sia a 3 che a 12 mesi (p=0,0334 e p=0,0377, rispettivamente).

Inoltre tutti i partecipanti trattati con verapamil hanno mantenuto una percentuale significativamente più alta, dal basale a 3 e 12 mesi, dell’AUC del C-peptide stimolato rispetto al gruppo placebo (p=0,0491 e p=0,0451, rispettivamente).

Minore fabbisogno di insulina e meno ipoglicemie con verapamil

Verapamil ha anche ridotto l'aumento del fabbisogno di insulina tipico dei pazienti con diabete di tipo 1 di recente insorgenza. Al basale entrambi i gruppi stavano assumendo una dose media di 0,26 unità/kg/giorno, ed entro 12 mesi nel gruppo verapamil il fabbisogno era aumentato solo del 27%, rispetto al 70% nel gruppo placebo (p=0,0312), in linea con un declino più lento nella funzione delle cellule beta.

Nel corso dello studio, entrambi i gruppi hanno mantenuto livelli medi di HbA1c compresi tra il 6% e il 7%. A sei mesi la HbA1c era leggermente, ma non significativamente, più bassa nel gruppo verapamil (p=0,083).
Gli eventi ipoglicemici per mese (≤ 2,2 mmol/L o ≤ 40 mg/dL) sono stati 0,5 nel gruppo verapamil e 2,7 nel gruppo placebo (p=0,0387).

Nel complesso gli eventi avversi sono stati lievi, senza nessuna interruzione del trattamento o riduzione della dose. L'evento avverso più comune con verapamil è stata la stitichezza, un noto effetto collaterale del farmaco, comunque di lieve entità. Verapamil non ha causato ipotensione o abbassamento della pressione sanguigna in questi pazienti normotesi e i risultati della frequenza cardiaca e dell'ecocardiogramma sono rimasti normali.

Da valutare anche nel diabete di tipo 2

«Anche se questo è un piccolo gruppo campione, i nostri risultati indicano ci stiamo avvicinando a un modo più efficace per affrontare il diabete di tipo 1», ha detto Fernando Ovalle, co-autore dello studio. «Oltre al verapamil, che consente ai pazienti di vivere con una minore dipendenza insulinica esterna, questi risultati incideranno sulla loro qualità di vita. Speriamo che un miglior controllo generale sul livello di zucchero nel sangue possa limitare anche i rischi per le altre comorbidità, come infarto, cecità, malattie renali».

Dato che questo studio ha valutato il diabete di recente insorgenza, la Shalev ha fatto notare che sono necessari studi futuri a lungo termine per aiutare a determinare l'effetto di verapamil sia sulla popolazione pediatrica che su quanti hanno convissuto con la malattia o hanno avuto una diagnosi da più di tre mesi.

Ha aggiunto che servono anche studi prospettici controllati che valutino il verapamil nel diabete di tipo 2, che in modelli murini e in recenti studi epidemiologici è stato associato a un minor rischio di sviluppare la malattia e a un miglior controllo dello zucchero nel sangue.

«I nostri risultati indicano che siamo sulla strada giusta e stiamo entrando in una nuova fase di scoperta per questa malattia», ha detto la Shalev. «Il diabete colpisce più di 30 milioni di persone solo in America, e speriamo che il nostro passo avanti porti a un approccio che può aiutare a migliorare la vita di tutti coloro che sono affetti da questa malattia».

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