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Trapianti, donazioni in aumento: "Il sistema funziona"

Pubblicata il 7 feb 2018

Trapianti, donazioni in aumento:

Dopo il caso della bimba morta a due anni in attesa di trapianto, abbiamo chiesto agli esperti quale è la situazione in Italia

 

Adalynn aveva due anni e la sua famiglia sapeva che per lei non c’erano speranze. Poco prima dello scorso Natale le era stato impianto un apparecchio per aiutare il suo cuore, ma nemmeno un trapianto avrebbe potuto salvarla. Per una complicazione aveva avuto danni cerebrali e non era più idonea all’intervento. Viveva a Nashville, in Tennessee, con i genitori e tre fratelli. La sua immagine, scattata dalla fotografa tedesca Suha Dabit, fa parte del progetto World of broken hearts. Nel caso della bimba era il cuore l’organo da trapiantare, ma ci sono decine di migliaia di altre persone in attesa di un trapianto nel mondo.

Anche in Italia dove però le statistiche dicono che i trapianti e le donazioni sono in aumento. Perché? Per più ragioni secondo Alessandro Nanni Costa, direttore generale del Centro Nazionale Trapianti: "Una buona organizzazione delle donazioni a livello regionale, nazionale e un impegno forte delle rianimazioni. Se aumentano i donatori, aumentano i trapianti. C’è stata poi anche una diminuzione delle opposizioni".

L’Italia ha un meccanismo di espressione di volontà esplicita da fare in vita, per esempio quel foglietto blu che venne mandato a casa da compilare alcuni anni fa. Altrimenti resta ad alcuni familiari, coniuge o convivente, genitori e figli, la possibilità di opporsi. In Francia e Spagna c’è il silenzio assenso. "Di fatto – spiega Nanni Costa – si passa però sempre attraverso i familiari e il fattore determinante non è la modalità di espressione della volontà, ma l’organizzazione delle rianimazioni e la conoscenza della tematica da parte delle persone".

In Italia in quest’anno l’80% dei pazienti in lista d’attesa ha ricevuto un organo. Ci sono stati 3.688 interventi: in aumento trapianti di rene, fegato e cuore, calano quelli di polmoni. Rispetto al 2016 i donatori di organi sono aumentati del 9%. L’Italia è fra le prime nella classifica per nazioni in Europa secondo i dati diffusi dal Centro nazionale trapianti. Non è un caso l’aumento del 2017, negli ultimi 5 anni la crescita è stata del 27%.

La media nazionale di quota dei donatori è di 28,7 casi per milione di abitanti con il Centro Nord più generoso rispetto al Centro Sud. Dal 19,1 delle regioni meridionali (in media con l’Europa) si arriva a 35,4 donatori per milione nelle regioni settentrionali (seconde solo alla Spagna).

"Siamo i primi in Europa – spiega Alessandro Nanni Costa – per le donazioni di tessuti, fra i primi con le donazioni di staminali emopoietiche. Siamo un paese di donatori e adesso abbiamo anche un’organizzazione che può sostenere queste donazioni".

I pazienti in lista di attesa sono circa 8700 e la durata media dell’attesa è fra i due e i tre anni. Quelle per il rene nel 2017 sono diminuite del 5%. "Quando un paziente entra in lista – aggiunge il direttore del Centro Trapianti – ha il 75-80% di probabilità di fare il trapianto, oltre l’85% per fegato e rene che sono i trapianti più frequenti".

L’obiettivo ideale è l’abolizione della lista d’attesa, anche se è notevolmente migliorata l’aspettativa di vita dei pazienti che aspettano di ricevere un organo. Per fegato e cuore fino a pochi anni fa l’organo doveva arrivare entro 6-12 mesi, oggi si arriva a due anni con metodologie di trattamento che permettono di arrivare in condizioni discrete all’intervento.

C’è però ancora chi dice no alla donazione. Sono il 28% le opposizioni alla donazione nell’anno al momento della morte di un paziente. Erano al 32% nel 2016. Perché ci sono ancora dei no alla donazione? "Principalmente perché la domanda viene fatta nel momento sbagliato, quando la persona ha appena perso un caro. Niente toglie questo dolore, ma la donazione è una luce che si accede" spiega Flavia Petrin,  presidente nazionale di Aido, l’associazione italiana donatori di organi, tessuti e cellule.

La scelta fatta in anticipo è la via ideale, ma serve soprattutto fiducia nel sistema. "Sono tre – dice il professor Nanni Costa – le domande a cui si risponde quando si chiede di poter espiantare gli organi di una persona ai familiari: "È veramente morto? Avete fatto tutto il possibile per salvarlo? Che vantaggi avete a farmi questa domanda?". Servono spiegazioni chiare perché qui entra in gioco tutta la visione generale della sanità. Se la gente si fida il sistema, illustrato con trasparenza, funziona".

1 commento


Baptiste
il 07/02/18

Dopo il caso della bimba morta a due anni in attesa di trapianto, abbiamo chiesto agli esperti quale è la situazione in Italia

Adalynn aveva due anni e la sua famiglia sapeva che per lei non c’erano speranze. Poco prima dello scorso Natale le era stato impianto un apparecchio per aiutare il suo cuore, ma nemmeno un trapianto avrebbe potuto salvarla. Per una complicazione aveva avuto danni cerebrali e non era più idonea all’intervento. Viveva a Nashville, in Tennessee, con i genitori e tre fratelli. La sua immagine, scattata dalla fotografa tedesca Suha Dabit, fa parte del progetto World of broken hearts. Nel caso della bimba era il cuore l’organo da trapiantare, ma ci sono decine di migliaia di altre persone in attesa di un trapianto nel mondo.

Anche in Italia dove però le statistiche dicono che i trapianti e le donazioni sono in aumento. Perché? Per più ragioni secondo Alessandro Nanni Costa, direttore generale del Centro Nazionale Trapianti: "Una buona organizzazione delle donazioni a livello regionale, nazionale e un impegno forte delle rianimazioni. Se aumentano i donatori, aumentano i trapianti. C’è stata poi anche una diminuzione delle opposizioni".

L’Italia ha un meccanismo di espressione di volontà esplicita da fare in vita, per esempio quel foglietto blu che venne mandato a casa da compilare alcuni anni fa. Altrimenti resta ad alcuni familiari, coniuge o convivente, genitori e figli, la possibilità di opporsi. In Francia e Spagna c’è il silenzio assenso. "Di fatto – spiega Nanni Costa – si passa però sempre attraverso i familiari e il fattore determinante non è la modalità di espressione della volontà, ma l’organizzazione delle rianimazioni e la conoscenza della tematica da parte delle persone".

In Italia in quest’anno l’80% dei pazienti in lista d’attesa ha ricevuto un organo. Ci sono stati 3.688 interventi: in aumento trapianti di rene, fegato e cuore, calano quelli di polmoni. Rispetto al 2016 i donatori di organi sono aumentati del 9%. L’Italia è fra le prime nella classifica per nazioni in Europa secondo i dati diffusi dal Centro nazionale trapianti. Non è un caso l’aumento del 2017, negli ultimi 5 anni la crescita è stata del 27%.

La media nazionale di quota dei donatori è di 28,7 casi per milione di abitanti con il Centro Nord più generoso rispetto al Centro Sud. Dal 19,1 delle regioni meridionali (in media con l’Europa) si arriva a 35,4 donatori per milione nelle regioni settentrionali (seconde solo alla Spagna).

"Siamo i primi in Europa – spiega Alessandro Nanni Costa – per le donazioni di tessuti, fra i primi con le donazioni di staminali emopoietiche. Siamo un paese di donatori e adesso abbiamo anche un’organizzazione che può sostenere queste donazioni".

I pazienti in lista di attesa sono circa 8700 e la durata media dell’attesa è fra i due e i tre anni. Quelle per il rene nel 2017 sono diminuite del 5%. "Quando un paziente entra in lista – aggiunge il direttore del Centro Trapianti – ha il 75-80% di probabilità di fare il trapianto, oltre l’85% per fegato e rene che sono i trapianti più frequenti".

L’obiettivo ideale è l’abolizione della lista d’attesa, anche se è notevolmente migliorata l’aspettativa di vita dei pazienti che aspettano di ricevere un organo. Per fegato e cuore fino a pochi anni fa l’organo doveva arrivare entro 6-12 mesi, oggi si arriva a due anni con metodologie di trattamento che permettono di arrivare in condizioni discrete all’intervento.

C’è però ancora chi dice no alla donazione. Sono il 28% le opposizioni alla donazione nell’anno al momento della morte di un paziente. Erano al 32% nel 2016. Perché ci sono ancora dei no alla donazione? "Principalmente perché la domanda viene fatta nel momento sbagliato, quando la persona ha appena perso un caro. Niente toglie questo dolore, ma la donazione è una luce che si accede" spiega Flavia Petrin,  presidente nazionale di Aido, l’associazione italiana donatori di organi, tessuti e cellule.

La scelta fatta in anticipo è la via ideale, ma serve soprattutto fiducia nel sistema. "Sono tre – dice il professor Nanni Costa – le domande a cui si risponde quando si chiede di poter espiantare gli organi di una persona ai familiari: "È veramente morto? Avete fatto tutto il possibile per salvarlo? Che vantaggi avete a farmi questa domanda?". Servono spiegazioni chiare perché qui entra in gioco tutta la visione generale della sanità. Se la gente si fida il sistema, illustrato con trasparenza, funziona".


Vanity Fair

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