Fine di vita assistita: cosa vogliono veramente i pazienti e i loro cari
Pubblicata il 19 ago 2019 • Aggiornato il 22 ago 2019 • Da Louise Bollecker
La fine di vita assistita è un dibattito di società importante che può particolarmente risuonare per i pazienti affetti da malattie gravi. Si deve autorizzare l’eutanasia attiva? Cosa pensare del suicidio assistito e dell’eutanasia indiretta? Come la legge dovrebbe inquadrare queste pratiche? Abbiamo chiesto ai membri di Carenity in Francia, Regno Unito, Germania, Italie, Spagna e Stati Uniti: più di 3 000 membri hanno risposto alla nostra indagine!
In Italia è possibile solo l’eutanasia passiva
In Italia, la legge fa distinzione tra interventi attivi e passivi. L'eutanasia viene giuridicamente considerata un intervento attivo, senza il quale il paziente, seppure in condizioni drammatiche, sopravviverebbe. E questo attualmente in Italia costituisce reato e rientra nelle ipotesi previste e punite dall'articolo 579 (Omicidio del consenziente) o dall'articolo 580 (Istigazione o aiuto al suicidio) del Codice Penale.
La terapia del dolore e il rifiuto di terapie atte a prolungare la sopravvivenza del malato sono garantite dalla legge. L’intervento esterno finalizzato ad accelerare il decesso del malato (eutanasia attiva) così come il suicidio assistito – l’atto autonomo di porre fine alla propria vita compiuto da un malato, in grado di intendere e di volere – in Italia sono perseguibili penalmente.
Attualmente in Italia è possibile solo l’eutanasia passiva:il paziente ha facoltà di rifiutare le cure mediche e l’alimentazione artificiale. La sospensione delle cure - intesa come eutanasia passiva- costituisce un diritto inviolabile in base all'articolo 32 della Costituzione, in base al quale: "Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana".
La legge non è sufficiente per i nostri membri
Soltanto il 17% dei rispondenti italiani alla nostra indagine considera che la legge è buona così come è: il 79% pensa che non permette abbastanza facilmente il ricorso alla fine di vita assistita. A titolo comparativo, i membri Carenity negli Stati Uniti sono i più soddisfatti della legge in vigore nel loro paese (29%), ma bisogna tenere conto del fatto che non ci sia una legge unica negli Stati Uniti: 10 Stati su 50 autorizzano il suicidio assistito. I membri di Carenity in Italia sono in gran parte favorevoli ad ogni forma di fine di vita assistita, che si tratta dell’eutanasia indiretta (74%), dell’eutanasia attiva (65%), l’eutanasia passiva (65%) o il suicidio assistito (59%). Tuttavia, questo entusiasmo è da attenuare. È interessante di notare una differenza culturale: se teniamo conto dei rispondenti di ogni paese interrogato, questi dati di adesione ai diversi tipi di fine di vita assistita sono più elevati. I membri del Regno Unito o ancora della Spagna sono più numerosi dei membri italiani ad essere favorevoli a ciascuna di queste pratiche.
I membri sostengono il diritto alla fine di vita
Numerose situazioni giustificano l’accesso alla fine di vita assistita
Una situazione in particolare ha colpito i pazienti e i loro cari: per il 73% tra essi, se il paziente soffre in modo intollerabile, allora un aiuto alla fine di vita è giustificata. Ma altre situazioni e criteri giustificherebbero anche l’accesso ad una fine di vita assistita per più della metà dei rispondenti:
- Essere in coma o in stato vegetativo (59%)
- Aver elaborato disposizioni anticipate (55%)
- Essere nel pieno possesso dei propri mezzi quando si prepara la sua fine di vita (50%)
Invece, soltanto il 47% considera il fatto di essere affetto da una malattia incurabile come un criterio determinante e soltanto il 44% dei rispondenti il fatto di essere in fine di vita. Così, una malattia che non si può guarire non può bastare ad autorizzare la fine di vita assistita, anche il fatto che la morte del paziente sia annunciata.
Il 66% dei pazienti non ha mai pensato alla fine di vita assistita
Soltanto il 34% dei nostri rispondenti all’indagine ha già considerato una fine di vita assistita dopo la loro malattia. È molto meno della Francia, per la quale il 50% dei pazienti ci ha pensato. Però, i membri di questi due paesi condividono la stessa angoscia: essere un peso per i loro cari. È la ragione principale per la quale i membri pensano ad una fine di vita assistita, seguita dalla sofferenza fisica troppo importante poi un dolore psichico insuperabile.
Il ricorso alle disposizioni anticipate rimane minoritario
Le disposizioni anticipate, cosa sono?
Entrata in vigore il 31 gennaio del 2018, la legge sul testamento biologico permette – entro i limiti della Costituzione e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea – di indicare i trattamenti sanitari che si intende ricevere o a cui si intende rinunciare, nel caso in cui non ci si trovi più in grado di prendere decisioni in maniera autonoma, o per sopravvenuta incapacità non li si possa esprimere in maniera chiara, attraverso l’introduzione delle DAT: le disposizioni anticipate di trattamento.
Ciascuno può scegliere o no di elaborare delle disposizioni anticipate. La loro assenza può tuttavia suscitare degli dibattiti per quanto riguarda la volontà del paziente, se quest’ultimo non è più in grado di esprimersi: è stato il caso nella famosa storia Vincent Lambert, un infermiere in stato vegetativo durante più di dieci anni, dopo un incidente in moto. Secondo sua moglie, non voleva essere tenuto in vita. Secondo i suoi genitori, era diventato soltanto una persona con disabilità della quale si doveva semplicemente prendere cura, assolutamente no in fine di vita. Le cure prestate a Vincent Lambert sono state finalmente fermate, e hanno portato al decesso del paziente nel luglio 2019. Forse è questo evento che porte il 55% dei nostri membri a volere rendere obbligatorie queste disposizioni anticipate.
La difficoltà di confrontarsi alla sua fine di vita
I nostri rispondenti sono soltanto 10% ad aver redatto delle disposizioni anticipate in forma giusta, per le ragioni seguenti:
- Non preferisco pensare alla sua fine di vita (38%);
- Ne ho già parlato con i suoi cari (29%);
- Non so come fare (23%);
- Non conoscevo le disposizioni anticipate (22%).
Soltanto il 52% dei rispondenti in Italia ha espresso la propria volontà presso uno dei loro cari, lontano del 73% dei Francesi, del 72% degli Americani o ancora del 71% degli Spagnoli. La fine di vita assistita sarebbe tabù in Italia. Nello stesso modo, il 84% dei nostri rispondenti non ha designato una persona di fiducia(1). Per il 45% tra essi, la ragione è anche la paura di confrontarsi alla sua fine di vita.
()1La definizione di “persona di fiducia” sottolinea l’importanza della scelta fatta dalla persona interessata, ma anche l’importanza che la persona scelta sia desiderosa di portare l’aiuto e il sostegno necessari. Si tratta di sostenere la persona nei suoi rapporti con le figure professionali, o di testimoniare di quello che desidera questa persona per quanto riguarda il suo collocamento o il suo trattamento quando non può farlo essa stessa. La persona di fiducia può essere una persona vicina alla persona interessata come anche un componente della sua famiglia o un amico, o una persona che proviene da un servizio di rappresentazione o da un organismo di volontariato benevole che è stata formata per assumere questo ruolo e con la quale la persona interessata è in fiducia. Il 49% dei rispondenti Italiano hanno designato il marito/la moglie.
Il parere dei nostri membri opposti alla fine di vita assistita
Benché siano minoritari, alcuni dei nostri rispondenti hanno espresso il loro rifiuto della fine di vita assistita. Le convinzioni morali e religiose dominano le loro risposte.
« La vita non è nostra! Ci è stata donata e come dono dobbiamo tutelarla fino a quando il Padre Eterno vorrà! »
« Sono sfavorevole ad ogni forma di eutanasia e suicidio assistito perché la vita è un dono prezioso che ci è stato fatto e noi abbiamo il dovere/diritto di proteggerlo sempre e communque »
« Perché la vita è sempre bella e vale la pena di essere vissuta sempre con il progresso della tecnica e della medicina oggi anche se la malattia è incurabile: potrei essere contrastata o criticata, ma io la penso così »
« Io credo che non sia giusto far morire una persona per egoismo »
« Il Signore ci ha dato la vita e solo lui può togliercela »
« La vita va vissuta con coraggio fino in fondo »
Altri membri precisano tuttavia che, malgrado la loro convinzione, non si oppongono alla scelta degli altri e rispettano la decisione e la sofferenza degli altri. Secondo l’età del paziente, la loro opinione può anche cambiare. Infine, alcuni si lamentano che le cure palliative non siano all’altezza per quanto riguarda il sollievo dei dolori del paziente e il sostegno dei loro cari.
Allora, cosa pensate di questi risultati? Riflettono ciò che pensate? C’è un tabù italiano intorno alla fine di vita assistita? Esprimete la vostra opinione nei commenti per partecipare al dibattito!
Indagine condotta nel luglio-agosto 2019 presso 3 007 membri Carenity in Francia, Regno Unito, Spagna, Germania e Stati Uniti. Tutti i membri (pazienti o parenti) sono stati invitati ad esprimere la loro opinione.
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