Ai malati di Lupus serve prudenza nell’esporsi al sole
Pubblicata il 24 ott 2017
La maggiore esposizione ai raggi ultravioletti e le alte temperature rischiano di trasformare la bella stagione in un periodo critico, per chi soffre di lupus eritematoso sistemico.
Quando la zona più colpita è la pelle, l’esposizione ai raggi solari (così come l’abbronzatura artificiale) può contribuire a scatenare la malattia non ancora conclamata, oppure a peggiorarne i sintomi. Detto ciò, essere affetti dal lupus non significa dover vivere un’estate al buio.
I CONSIGLI PER UN’ESTATE SICURA
Conoscere gli accorgimenti basilari può aiutare a gestire serenamente la malattia, soprattutto nei mesi più luminosi e vitali dell’anno. Quali accortezze assumere allora durante l’estate? «Occorre ridurre l’esposizione ai raggi ultravioletti nelle ore più calde della giornata e utilizzare sempre filtri solari a schermo totale - afferma Pier Luigi Meroni, direttore del dipartimento di reumatologia del Centro specialistico ortopedico-traumatologico Gaetano Pini-CTO di Milano -.
A ciò occorre aggiungere una copertura adeguata delle zone esposte al sole: ben vengano dunque cappelli, occhiali, camicie e pantaloni a maniche lunghe. E poi è necessario sempre seguire le indicazioni del proprio medico».
Queste regole, aggiunge lo specialista, «valgono anche per le forme moderate di malattia e per le connettiviti. Sebbene la terapia farmacologica non subisca variazioni d’estate, accanto alle misure di protezione vengono utilizzati sempre di più i farmaci che appartengono alla classe degli anti-malarici, in particolar modo la idrossiclorochina. Questa molecola ha un’azione fotoprotettrice che è estremamente utile durante i mesi in cui maggiore è l’esposizione ai raggi ultravioletti».
COL LUPUS OGGI SI IMPARA A CONVIVERE
Sebbene non esista ad oggi una cura definitiva per il lupus, attraverso i farmaci e uno stile di vita attento è in genere possibile raggiungere e mantenere una soddisfacente qualità di vita.
«La prognosi è cambiata drasticamente - ricorda Meroni. Negli ultimi dieci anni le diagnosi sono state sempre più precoci, determinando un aumento della sopravvivenza della maggioranza dei pazienti a dieci anni. Ciò si deve alle tecniche diagnostiche più sensibili e a un più nutrito arsenale terapeutico. Accanto ai tradizionali farmaci immunosoppressori, sono oggi disponibili nuovi trattamenti che rappresentano un’evoluzione di alcune vecchie molecole: più efficaci e con ridotti effetti collaterali. Iniziare precocemente il trattamento e modularlo in modo appropriato nelle varie fasi della malattia consente di ridurre il danno permanente a livello dei tessuti e di diminuire la frequenza delle riacutizzazioni, a tutto vantaggio della qualità di vita».
La Stampa
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