Poche regole per stare in salute. Ma perché non le seguiamo?
Pubblicata il 28 mar 2016
Il «paradosso della salute»: sappiamo quali sono i comportamenti da adottare per mantenerci sani e a lungo, ma preferiamo seguire le «ultime mode».
Anche nella salute ci sono le mode: c’è il periodo in cui va forte l’allenamento di pochi minuti intensi e quello in cui «vince» la moderazione nello sforzo; c’è il momento della dieta che punta sul taglio dei grassi e quello dell’alimentazione che tiene sotto controllo gli zuccheri. Al di là delle tendenze più o meno effimere, le regole-base per restare in salute sono sempre le stesse e richiamano al buonsenso privo di eccessi: una buona dose di attività fisica regolare adeguata al proprio livello di allenamento, una dieta equilibrata e completa che non metta al bando nessun nutriente, controlli dal medico in base all’età e alle proprie condizioni. Capisaldi di prevenzione che tutti sanno: come ha riferito di recente il New Scientist, il 76% della popolazione conosce i «fondamentali» dello stile di vita. Peccato, però, che a metterli più o meno in pratica sia solo il 45% e ci sia un buon terzo di persone che non muove un dito pur sapendo quel che dovrebbe fare per stare bene: un «paradosso della salute» che rischia di minare alla base la medicina di domani, che pian piano sarà sempre meno terapia delle malattie e sempre più mantenimento (a lungo) dello stato di benessere.
I motivi della contraddizione
I motivi di questa contraddizione sono parecchi, come spiega Ovidio Brignoli, vicepresidente della Simg (Società italiana di medicina generale): «Il numero di persone attente a un sano stile di vita è in crescita, ma le buone abitudini hanno bisogno di costanza per portare frutti. Tanti provano a fare movimento, smettere di fumare, mangiare meglio, ma poi si stufano e tornano ai vecchi errori. Purtroppo oggi predomina l’idea che si possa avere tutto, subito e senza sforzo: una pillola miracolosa per dimagrire, un’altra che regala gli effetti dell’esercizio fisico e così via, con scappatoie facili di ogni genere. Che però non funzionano: non esiste una via breve per cambiare lo stile di vita, occorre crederci e impegnarsi ogni giorno. Un compito difficile soprattutto perché le buone abitudini dovrebbero prenderle innanzitutto le persone sane per evitare di ammalarsi, ma chi non ha una preoccupazione per la propria salute, per una minaccia tangibile, fa fatica a privarsi di ciò che vive come un piacere: alcol, dieta golosa e altro».
Manca la consapevolezza del pericolo
Siamo restii a cambiare davvero le nostre consuetudini soprattutto perché ci manca la consapevolezza del pericolo, come conferma Franco Perticone, presidente della Simi (Società italiana di medicina interna): «Chiunque tende a essere indulgente con se stesso, quando si auto-valuta per il rischio cardiovascolare o di altre malattie in base alla vita che conduce o alle proprie caratteristiche. La percezione del pericolo di chi non ha una patologia in atto è scarsa o nulla, spesso purtroppo lo è anche quella del medico. Anche perché non di rado si “dimentica” di valutare la situazione di ciascuno nella sua complessità: i fattori di rischio non si sommano, ma moltiplicano la probabilità di malattia. Peraltro le patologie croniche che minano di più l’aspettativa di vita in salute, dall’ipertensione al diabete, non danno sintomi evidenti per molto tempo». Risultato: non pensiamo che possano riguardarci. «Spesso si sottovalutano glicemia ai limiti, pressione borderline, colesterolo vicino alla soglia — osserva Perticone —. Tuttavia non si diventa diabetici o ipertesi dalla sera alla mattina: a molti sfugge la transizione dalla normalità alla malattia “conclamata” perché si punta l’attenzione solo ai numeri dei fattori di rischio, che però sono convenzioni. Se in un paio di anni la glicemia a digiuno passa da bassa a sfiorare la soglia, sta accadendo qualcosa a cui porre rimedio prima che siano superati i limiti. Morale, per migliorare l’aderenza agli stili di vita e risolvere il paradosso della salute forse tutti dovremmo sentirci un po’ più malati». Un’esagerazione, certo, ma rende l’idea di quanto sia difficile per i medici convincerci a cambiare rotta. Forse un modo per riuscirci sarebbe un’educazione sanitaria seria nella scuola, come tutti gli esperti auspicano. «In Italia fondi destinati alla prevenzione sono circa il 5% del totale e di questi l’80% è inutilizzato — spiega Ovidio Brignoli —. Vuol dire che non c’è coscienza di quanto sia importante».
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