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25 anni senza diagnosi: la storia di Pilar e della malattia di Parkinson

Pubblicata il 12 ago 2019 • Da Andrea Barcia

Pilar, membro di Carenity in Spagna, è affetta dalla malattia di Parkinson da più di 40 anni. Diagnosticata 25 anni dopo i primi sintomi, ha accettato di parlarci della sua esperienza con il vagare medico, dell’evoluzione dei trattamenti e dell’impatto della malattia nella sua vita.

25 anni senza diagnosi: la storia di Pilar e della malattia di Parkinson

Buongiorno Pilar, puoi presentarti in poche righe?

Buongiorno, mi chiamo Pilar, sono di Valencia. Ho 56 anni e una figlia di 27 anni. Mi piace disegnare e dipingere con acquerelli, ascoltare musica e cantare. Soffro della malattia di Parkinson ma cerco di non vedere soltanto il negativo, penso che tutto può impararci qualcosa. Non si deve dire “Perché io?” ma stare positivo. 

Quali sono stati i tuoi primi sintomi anormali?

I miei primi sintomi sono apparsi quando avevo 15 anni; il mio polso tremava e mi sentivo rigida mentre camminavo, come se fossi un robot. Avevo dei problemi ad andare a scuola e trascinavo il mio piede sinistro. Il mio equilibrio era terribile e senza rendermi conto, mi appoggiavo sui muri quando stavo immobile, altrimenti tornavo indietro. 

pilar

Com’è andata la diagnosi?

C’è voluto molto tempo per arrivare alla diagnosi! Ero tanto giovane che gli specialisti non hanno pensato a questa malattia. Durante anni, non sapevo di quale malattia stavo soffrendo. Il dubbio è difficile da sopportare, non potevo andare in nessuna associazione e non conoscevo qualcun’altro come me per condividere esperienze. Ho saputo di avere la malattia di Parkinson quando avevo circa quarant’anni, grazie ad un test efficace, la TEP*. Ero quasi felice di poter infine dare un nome a quel male di cui soffrivo. Identificando la malattia di Parkinson, ho potuto incontrare molte persone che mi hanno aiutata, incoraggiata e che sono oggi i miei amici. 

* Tomografia ad emissione di positroni combinata alla tomografia computerizzata (TEP-TAC): si tratta di un esame che utilizza delle piccole quantità di materiale radioattivo (chiamato prodotto radiomarcato) per diagnosticare e determinare la gravità di una varietà di malattie. La TEP-TAC può in particolare aiutare a differenziare la malattia di Alzheimer degli altri tipi di demenza. 

Come i tuoi cari hanno reagito? 

Mia madre non accetta la mia malattia, e ancora meno il fatto che sia di origine genetica di mio padre e mia madre, perché ho ereditato le due mutazioni. All’inizio, mi sentivo molto sola e incompresa. Il padre di mia figlia passava la giornata a farmi credere che rendevo la vita di tutti impossibile e acida, che non era normale e che stavo per diventare pazza. Per fortuna, ho riuscito ad essere forte e ci siamo separati. Sei anni fa, mi sono risposata, e mio marito è la cosa migliore che mi sia successa nella vita: mi aiuta, mi capisce e mi ascolta quando ho bisogno. 

La progressione della tua malattia è stata molto lenta fino alla nascita di tua figlia, puoi spiegare il cambio avvenuto dopo la nascita? 

Quando mia figlia è nata, ho sofferto di un cambio ormonale che ha avuto delle conseguenze molto negative. Il tremore si è aggravato, non potevo più camminare fino al parco. Possiamo dire che la malattia si è svegliata con tutta la sua crudeltà. Mia figlia aveva soltanto 5 mesi e non potevo neanche spingere i passeggini, avevo 28 anni e stavo molto male. Guardavo mia figlia e mi chiedevo cosa stava per accadere per lei. Medici mi hanno detto che fosse una malattia neurologica appena svegliata e che se continuavo così, finirei presto in una sedia a rotelle. Ho pianto, mi sono quasi arresa… ma per mia figlia, per vederla crescere, ho lottato con tutte le mie forze. 

Quali conseguenze ha avuto la malattia nella tua vita sociale e professionale? 

Molte, perché ho appena potuto lavorare. Sono ricercatore clinico e non ho mai esercitato, sono anche diventata commercialista e assistente amministrativa e non ho neanche potuto esercitare, perché la malattia stava peggiorando. Ho perso tutti i miei amici perché non potevo seguire il loro ritmo. Sono stata spesso sola ma, almeno, ho visto che non erano veri amici. 

Oggi, come affronti la malattia nella vita quotidiana?

Apprezzo i giorni buoni e mi armo di pazienza e resistenza per i cattivi. La mia giornata comincia alle 6 del mattino: mi alzo per prendere i miei farmaci, ne riprendo alle 8 del mattino. Dormo poco. Cerco di essere la più attiva possibile, anche se posso essere attiva soltanto nella mia mente, perché tremo così tanto e non posso fare niente. Provo a distrarmi per non pensare, ascolto musica… Purtroppo, ho l’impressione che i giorni buoni sono sempre più rari. 

Quali trattamenti prendi oggi? 

Prendo Madopar (Levodopa) ogni 3 ore, Pramipexolo alle 6 del mattino, Sinemet, Biperidene contro i tremori e Rivotril per dormire. Quando niente di tutto questo ha effetto, utilizzo la penna APO-go Pen, che contiene dell’apomorfina e mi permette di muovermi di nuovo. Questi trattamenti sono efficaci, ma non tanto quanto vorrei. 

Quali sono le differenze tra i trattamenti 40 anni fa e quelli attuali? 

Ho l’impressione che non c’è niente di nuovo, niente innovativo sin dalla scoperta della Levodopa, che è stata veramente la bomba anti-Parkinson! Dopo, ci sono stati altri farmaci, ma sono gli stessi con un’etichetta diversa e un costo più elevato.  

Pensi che ci sono meno tabù intorno alla malattia rispetto a 40 anni fa? 

Purtroppo, no. La Giornata mondiale contro la malattia di Parkinson ha avuto luogo l’11 aprile e qui, in Spagna, quasi nessuna stazione televisiva ne ha parlato. Ed è soltanto una giornata ogni anno, mentre un programma di informazione più ampio dovrebbe essere creato per sensibilizzare la società sul fatto che la malattia di Parkinson non è l’appannaggio delle persone anziane e che non si tratta soltanto di un lieve tremore, è molto di più, è invalidante. Ci sono sempre più giovani diagnosticati ed è ancora più terribile nel senso in cui sono ancora abbastanza grandi per lavorare, hanno una famiglia, bambini… Questi giovani malati vedono la loro vita distrutta. Molti di questi pazienti nascondono i loro sintomi il maggior tempo possibile, per paura del rifiuto, e senza aiuto, è molto difficile sopportare i sintomi. Trovo molto triste il fatto che ancora oggi, la gente ignora quasi completamente questa malattia. 

Secondo te, ci sono altri aspetti che non hanno progredito abbastanza veloce in 40 anni? 

La ricerca medica non è cambiata per mancanza di finanziamento. La Spagna è il paese nel quale la ricerca è così difficile che gli scienziati devono andare in altri paesi per fare le loro ricerche perché qui è impossibile, è destinata al fallimento. 

I malati continuano a subire il rifiuto della società perché i sintomi sono sconosciuti e confusi con alcolismo, tossicomania… La malattia di Parkinson, oggi, è la grande sconosciuta. I media dovrebbero dare maggiore importanza a questo tipo di malattie, perché nessuno è al sicuro. 

Come la tua percezione e la tua accettazione della malattia sono cambiate in 40 anni? 

All’inizio, mi vedevo come una guerriera: volevo combattere, risorgere dalle ceneri, la malattia non poteva vincere. E poi, col passare degli anni, il mio stato è peggiorato, niente è cambiato, i medici non hanno dato spiegazioni o soluzioni… Allora ho abbandonato la lotta e ho accettato il proprio destino. Mi sento stanca e delusa. A volte, leggo che un trattamento è quasi pronto, che tale scienziato ha trovato una soluzione per guarirci, ma è come giocare con la disperazione dei malati. Non abbiamo mai le notizie di queste grandi scoperte. 

Quale messaggio o consiglio vorresti trasmettere ai pazienti affetti dalla malattia di Parkinson?

Direi loro di abituarsi all’idea che si può avere una vita felice nonostante la malattia di Parkinson, che niente finisce ma tutto si trasforma. Bisogna abituarsi a questa nuova vita e soprattutto, informarsi per sapere bene contro cosa lottiamo. Bisogna imparare a conoscersi perché nessuno sa meglio di se stesso a cosa assomiglia la malattia di Parkinson. 

Ai parenti, direi loro di armarsi di pazienza e di tenersi pronti a dare molto affetto al malato perché ne abbiamo bisogno. Sentiamo molta paura, dubbi, impotenza… È difficile, lo so, ma a volte, un po’ di comprensione e molto sostegno sarebbero sufficienti a fare una grande differenza.

 

 

Grazie mille a Pilar per questa testimonianza sincera! E voi, da quanto tempo condividete la vostra vita con la malattia di Parkinson? Com’è andata la vostra diagnosi? Non esitate a condividere la vostra esperienza, a chiedere consigli o portare sostegno!

avatar Andrea Barcia

Autore: Andrea Barcia, Redattrice di Salute

Andrea è specializzata nella gestione di comunità di pazienti online e nella scrittura di articoli sulla salute. Ha un interesse particolare nei campi della neuropsicologia, della nutrizione e dello... >> Per saperne di più

1 commento


maryterry52
il 26/08/19

Mi sono commossa a leggere la testimonianza del sig.Pilar, che convive con questa brutta malattia

Ha raccontato della sua malattia con coraggio e dignità!! 

Ha ragione per quanto riguarda la ricerca medica, si fa ben poco non solo per il morbo di Parkinson ma anche per tante malattie rare che per mancanza di fondi non si fanno ricerche.

Auguro un mondo di bene al sig.Pilar

Grazie per la sua testimonianza, spero che chi ha questa malattia

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