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Epilessia: "A volte mi capitava di sentirmi come se fossi in un sogno"

Pubblicata il 13 apr 2022 • Da Baptiste Eudes

Jethro, membro di Carenity Italia, ha sofferto di epilessia e insonnia fino al 2013, anno in cui è stato operato al cervello per una MAV (Malformazione Arterovenosa). Ci racconta la sua storia e la sua lotta quotidiana contro la malattia!

Epilessia:

Buongiorno Jethro, ti ringraziamo tanto per questa testimonianza.

Puoi presentarti in qualche parola?

Mi chiamo Franco, ho 44 anni e fino al 2017 ho vissuto in un paesino nel Veneto, ora vivo nel centro di Milano. Ho sofferto di epilessia e insonnia fino al 2013, anno in cui sono stato operato al cervello per una MAV (Malformazione Arterovenosa). Ho cominciato a lavorare subito dopo la terza media, e sopratutto dopo i vent’anni ho cominciato a trovare sempre più difficile addormentarmi ogni sera, nonostante la stanchezza e il debito di sonno accumulati. Oggi per fortuna le cose vanno meglio.

Quando sono comparsi i primi sintomi della malattia?

Non sapevo di essere epilettico. I miei genitori sono sempre stati molto anziani, e non davano molta importanza a quando gli raccontavo da bambino di sentirmi male, o venivo rimproverato perché “non si capisce a cosa pensi certe volte”. Nessuno aveva mai sentito parlare di “assenze”, cioè io non mi rendevo conto di bloccarmi e restare immobile per molti secondi, ma ricordo quanto spesso per i primi venticinque anni della mia vita mi sia capitato di avere dei deja-vu e di sentire un odore dolciastro, a volte tutte e due le cose insieme. A volte mi capitava di sentirmi come se fossi in un sogno. In breve sono sempre stato epilettico, ma fino ai trentasei anni non c’è stata alcuna diagnosi, nonostante implorassi il medico di famiglia di prescrivermi almeno qualcosa per dormire.In casa ero preso solo per matto, e la mia omosessualità non fece che peggiorare le cose.

Inoltre quando avevo dodici anni mio fratello morì folgorato in un incidente. Ricordo quel pomeriggio al pronto soccorso, mia madre che piangeva… Sogno ancora quel pomeriggio a volte.

È passato molto tempo prima della diagnosi? 

La prima “diagnosi” è una cosa strana, sorrido quando ci penso. Anche se in quel momento non ero affatto felice, tutt’altro. Quando avevo vent’anni conobbi un uomo americano che lavorava come psichiatra nella vicina base Nato di Aviano in Friuli. Ci frequentammo un po’ e me ne innamorai. Quando eravamo insieme il venerdì sera spesso ci facevamo un paio di birre o stavamo comunque svegli fino a tardi. Un sabato pomeriggio gli dissi “Sai che quando bevo la birra il giorno dopo ho quasi sempre dei deja-vu?”

Lui divenne improvvisamente serio e guardandomi negli occhi mi disse che secondo lui ero epilettico. Io avevo già descritto molte volte al medico di famiglia i miei sintomi, ma venivo sempre rassicurato con “Non è niente, stai tranquuillo” e “Quando sarai stanco vedrai che dormi e torni come nuovo”. I colleghi in fabbrica mi dicevano “Ogni tanto vai in stand-by”.

Ad ogni modo pensai che se essere epilettico significasse solo sentire quell’odore nauseante ed estremamente forte di vaniglia e cannella e vivere dei deja vu di tanto in tanto significasse che l’epilessia di cui forse soffrivo doveva essere molto lieve. Avevo circa vent’anni.

Come hai reagito di fronte all’annuncio della diagnosi?

Nei primi mesi del 2013 ebbi un incidente mentre ero alla guida, uscii dritto di strada in una curva. Fui fortunato, non feci male a nessuno, anche se poi soffrii per un paio di mesi di forti dolori al collo e alla schiena. Non pensai minimamente all’epilessia ma alla costante carenza di sonno di cui soffrivo. Il mio nuovo fidanzato di allora (con cui convivo ancora oggi) mi spinse a fare delle visite neurologiche, che io non volevo fare, perché i miei famigliari ed i miei colleghi dicevano che trovavo solo scuse per non andare al lavoro e si arrabbiavano con me. La depressione di cui soffrivo divenne seria in quel periodo, e le mie crisi anche peggiorarono: non più solo assenze ma crisi convulsive.

Il mio stato d’animo di quel periodo rese molto strana l’esperienza in ospedale. Quando il neurologo mi disse che soffrivo di epilessia causata una malformazione arterio venosa all’interno del mio cervello e bisognava operare provai rabbia, pensai “Ecco, sapevo che c’era qualcosa di grave! E nessuno mi ha mai ascoltato!” ma finalmente il mio malessere aveva un nome e inoltre ero talmente stufo di essere trattato male dai miei familiari e colleghi che alle parole “sarà un’operazione molto seria” provai genuino sollievo.

Mi commuovo ancora oggi alle parole del chirurgo, la sera prima dell’intervento: “Adesso lei chiama il suo fidanzato e gli dice di venire qui domani mattina alle 7 prima dell’operazione!”

Hai avuto qualche calo di tanto in tanto, dopo questo annuncio? Come hai trovato di nuovo l’energia e l’ottimismo?

L’operazione al cervello mi ha lasciato una grande cicatrice, un arco che va da sopra l’orecchio destro fino al centro della fronte. Pensavo che una volta tornato al lavoro le cose sarebbero andate bene, invece i colleghi mi trattavano peggio di prima, nonostante i richiami dal direttivo della fabbrica. Tutti potevano vedere la mia cicatrice fresca e tutti sapevano che prendevo dei farmaci molto forti (carbamazepina e valium), eppure c’erano dei colleghi che si aspettavano di essere aiutati da me in tutto, come facevo prima dell’operazione. Un anno prima infatti, la mia mansione consisteva nel fare costantemente il giro della fabbrica e rifornire tutti gli operai dei “pezzi” di cui avevano bisogno. Dopo un anno di assenza, tutto in fabbrica era cambiato, e quello che una volta imparavo senza difficoltà (componenti, metodo e tempi di ogni singolo modello) ora mi era impossibile. Quando chiedevo “scusa cosa serve per questo?” venivo rimproverato. Non ero più sveglio e reattivo come prima, le medicine mi rendevano sempre lento e imbambolato, e il caldo vicino ai macchinari mi causava forti nausee.

Nel 2017 consideravo sempre più seriamente il suicidio, così ne parlai col mio fidanzato. Da allora vivo con lui (che non è più autosufficiente per la sua malattia). Faccio il casalingo, ma qui a Milano grazie a psichiatra e psicologo del Centro Psico Sociale oggi sto meglio.

Quali trattamenti assumi?

La psichiatra che mi segue da quando vivo a Milano mi ha aiutato tantissimo trovando i farmaci che funzionano per me: trazodone e gabapentin. Negli ultimi anni finalmente dormo otto ore ogni notte e il mio umore è molto migliorato. I farmaci che mi erano stati prescritti in precedenza non funzionavano nel mio caso.

Hai modificato le tue abitudini per gestire meglio la tua malattia?

Ho lasciato il paesino veneto in cui vivevo e sento mia madre solo al telefono. Sono incredibilmente fortunato, a Milano ho una nuova famiglia, psichiatra e psicologo che mi hanno davvero aiutato. Oggi non tollero di rinunciare al mio benessere solo perché altre persone non hanno idea di cosa voglia dire essere depresso. La depressione è sempre pronta ad assalirmi di nuovo, e tenerla lontana è un lavoro che mi impegna seriamente ogni giorno, cerco di non lasciarmi travolgere dai brutti ricordi: mio fratello bruciato al pronto soccorso, il mio fidanzato che viene rispedito indietro negli Stati Uniti subito dopo il disastro del World Trade Center, i colleghi egoisti (non tutti per fortuna) che mi trattavano male e mi sgridavano perché “sei diventato lento e imbranato!”, sopratutto la malattia del mio partner attuale.

Non soffro più di epilessia, ma devo tenermi controllato con visite neurologiche e valutazioni psichiatriche, prendo farmaci e se mi capita un brava capogiro scatto subito sull’attenti. Sono tutte cose che le persone che avevo intorno dove vivevo prima non capiscono.

Come si trova la tua malattia oggi? Si è migliorata? 

Oggi non soffro più di epilessia. La depressione di cui soffro secondo me è causata da anni di insonnia. Anni in cui nonostante la stanchezza non riuscivo ad addormentarmi la sera, fino alle quattro del mattino. Poi andavo al lavoro con umore nero ogni giorno, eppure tutti mi volevano bene perché li aiutavo e non mancavo mai di rispetto a nessuno (eppure la mancanza di sonno non mi metteva certo di buon umore). Non un giorno in ritardo, facevo sempre del mio meglio, ed ero apprezzato.

Dopo l’operazione tutti si aspettavano che io fossi quello di prima e cominciarono a trattarmi malissimo, inoltre in quel periodo a mio padre venne diagnosticato un tumore al cervello. Ero sempre stressato, la vita mi pareva un inferno continuo, e tutto questo peggiorò la mia depressione. Mio padre morì due anni dopo.

Sto meglio di prima, ma i ricordi delle cose che mi sono state dette proprio dalle persone da cui mi sarei aspettato solo empatia bruciano ancora. Se mi lascio andare, i brutti ricordi prendono il sopravvento e comincio a star male di nuovo.

Oggi non penso più al suicidio, anzi spero di poter vivere a lungo. Cerco di fare in modo che tutto quel dolore mi abbia “insegnato” oltre ad avermi segnato. Oggi capisco bene le persone che soffrono e mi è facile mettermi nei loro panni e immaginare come si senta una persona che considera il suicidio, capisco che i giorni che abbiamo da vivere non sono infiniti.

Nella vita quotidiana, quale sintomo è il più fastidioso?

È difficile il non essere noioso per gli altri. Se esco vorrei tornare presto a casa, se abbiamo ospiti non vedo l’ora che se ne vadano. Continuo a pensare “e se stasera non riesco ad addormentarmi? Domani come faccio?” È difficile convivere coi miei brutti ricordi.

È difficile trovare la forza di alzarmi dal letto, ma per fortuna ci riesco ogni mattina. È difficile trovare la forza di essere attivo, uscire a fare una passeggiata, cucinare qualcosa di buono. Ma sopratutto è difficile evitare che i pensieri tristi/arrabbiati prendano il sopravvento rovinandomi l’umore. Ecco, avere un buon umore è come cercare di costruire un castello con le carte: basta un nonnulla per buttare tutto a terra improvvisamente.

Inoltre i farmaci che prendo mi privano quasi del tutto della mia libido, che già era scarsa da sempre, e mi spiace per il mio partner. Anche se abbiamo una vita sessuale attiva mi rendo conto che vorrebbe che fossi un po’ più spesso io a prendere l’iniziativa.

Riesci ad avere una vita quotidiana normale? Cosa ti rendi felice ogni giorno?

Riesco ad avere una vita normale, e aver trovato una persona che mi ama e apprezza per quello che sono è l’unica cosa che può tenere la tristezza ed il malessere lontano. Vivo in una grande città, e qui non c’è mai l’obbligo di “partecipare”, a differenza del paesino dove vivevo prima, in cui non esiste la privacy e ci sono continui obblighi sociali: “Ma come, non sei venuto ieri? Ma c’erano tutti! Ma dove sei andato? La prossima volta vedi di non mancare! La domenica non ci sei mai”. Che il mio tempo libero sia solo mio è forse la gioia più grande, il non dovermi curare dei giudizi altrui una enorme liberazione. Inoltre prendermi cura del mio partner, oggi che lui non riesce più da solo mi fa sentire utile. Lui molto probabilmente morirà prima di me, voglio stargli sempre vicino.

Mentre scrivo mi viene in mente che poter decidere io come spendere il mio tempo libero sia davvero la gioia più grande.

Hai un consiglio per aiutare i pazienti ad avere speranza di fronte alla malattia?

Sono stato malissimo per i primi quarant’anni della mia vita. Io per primo riconosco la fortuna che ho avuto nel poter cambiare la mia vita in meglio “dandoci un taglio”, lasciando famiglia e lavoro. Io sono stato salvato, e non a tutti è concessa una possibilità del genere. So bene come ci si senta a non vedere una via d’uscita, un modo per migliorare la propria situazione, davvero.

Ciò non toglie che io sappia benissimo cosa significhi stare male e sopratutto essere incompresi. Ricordo benissimo quello che ho passato. So cosa voglia dire il non essere capiti nella propria sofferenza, so quanto è difficile trovare un medico che sia davvero in grado di aiutarti, l’ho provato sulla mia pelle. Soffro quando mi capita di leggere su internet di persone che maledicono gli psicofarmaci, penso che come tutte le cose abbiano dei lati positivi e negativi. A me il trazodone ha cambiato la vita.

Il miglior consiglio che mi sento di dare è "Trova qualcosa per cui essere grato". Non dare mai nulla per scontato, dovuto o infinito: le cose buone potrebbero sparire senza preavviso. E se non ti trovi bene col tuo medico, cercane un altro.

Una parola per finire? 

Abbiamo un cervello, possiamo usarlo per pensare quello che vogliamo. Cerchiamo di rendere i pensieri belli un’abitudine, perché di cose brutte ne siamo circondati ogni giorno.

Il bello può essere un ricordo d’infanzia, un quadro che ci piace, il sole del mattino, la nostra musica preferita. Spero che questa mia testimonianza possa essere utile.

Grazie mille a Jethro per la sua testimonianza! 

Questa testimonianza vi è stata utile? 

Condividete i vostri sentimenti e le vostre domande con la comunità nei commenti qui sotto! 

Forza a tutte e tutti!


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avatar Baptiste Eudes

Autore: Baptiste Eudes, Redattore di Salute

Baptiste è specializzato nella gestione delle comunità di pazienti online. Ha un interesse particolare nei campi della salute, dello sport e del digitale. Ha 7 anni di esperienza in questi campi. 

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